[FILOSOFIA] Il “platonismo proletario” e l’anticomunismo di Nietzsche

Taduzione non ufficiale da “Nova Cultura”

Nella sua opera autobiografica Ecce Homo, Nietzsche si pone come “l’ultimo antipolitico tedesco ” (NIETZSCHE, 2003, p. 27). Un’analisi superficiale del brano isolato dal suo contesto, può portare all’errore di considerare il pensiero politico di Nietzsche come una dimensione priva di un’interna e necessaria relazione con le sue categorie di fondo relative alla volontà di potenza, alla critica della metafisica o alla visione cosmologica dell’“eterno ritorno”. Ma è proprio sulla base della questione politica che Nietzsche, nel contesto storico e sociale della Germania, fonda la sua tesi della degenerazione della società, identificata con l’ascesa dei valori della democrazia liberale borghese da un lato, e con le idee comuniste e anarchiche emerse nel proletariato dall’altro. È quest’ultimo aspetto che c’interessa nel presente lavoro: presentare l’interpretazione da parte di Nietzsche delle idee socialiste della sua epoca.

Per comprendere gli attacchi nietzschiani al socialismo bisogna avere presente le sue concezioni dell’etica. Secondo la sua visione, la “morale giudaico-cristiana” è stata costruita sulla base del risentimento. Gli schiavi, i più deboli, nell’impossibilità di reggere il confronto con i più forti, i nobili, trasformano la forza in ingiustizia. Partendo da questo, Nietzsche propone un’ermeneutica basata sulla demistificazione dei “valori dominanti”. Quello che la “morale degli schiavi” aveva denunciato e presentato come sopruso e come vizio dell’aristocrazia viene invece presentato come condizione per una “nuova etica”. Così, analogamente, quello che la “morale degli schiavi” presenta come virtù vene “demistificato” da Nietszche. Secondo lui è il risentimento proprio del debole e dell’incapace, che trasformerebbe la debolezza in virtù. Nell’impossibilità di incidere in questo mondo, questo lo porterebbe ad attendere la redenzione in un presunto aldilà che sarebbe a venire. È da questa prospettiva che Nietzsche indica anche la religione, insieme alla filosofia corrente, come i due assi su cui si fonderebbe il processo di decadenza dell’uomo.

Nella modernità, nel passaggio dal mondo feudale a quello borghese, dove i valori aristocratici sono stati lasciati alle spalle e sorpassati dall’ideologia borghese, Nietzsche vede un ulteriore momento di degenerazione dell’umanità. Nella sua condanna della modernità, che porta come novità “la morte di Dio”, ma non la fine che nega la vita, il filosofo tedesco individua nella considerazione della dimensione del Politico, due nemici di fondo: da un lato la democrazia liberale, delle interminabili discussioni, in breve, dei valori democratici forgiati nella Rivoluzione francese, dall’altro il socialismo, le idee comuniste e quelle anarchiche, che predicherebbero l’egualitarismo, la fine della proprietà e la costruzione di una società senza oppressi e oppressori.

In questo lavoro, intendo evidenziare la natura di alcune delle critiche fatte da Nietzsche al socialismo, piuttosto che propormi di esporre un’analisi sistematica del suo pensiero rispetto alle sue posizioni politiche. Anche perché, il filosofo francese André Comte-Sponville nel suo articolo “La bestia, il Sofista e l’esteta: l’arte al servizio della disillusione”, cita una frase del filosofo francese François George sulla complessità dell’opera nietzschiana, [la voluta asistematicità tipicamente sofistica del lavoro di Nietzsche, ndr], che sottolinea come Nietzsche “non ha lasciato a nessuno la cura di contraddirlo”.

Proprietà, rivoluzione francese e socialismo

Nietzsche condanna anche il socialismo per la sua critica della proprietà come uno dei pilastri su cui è stata costituita la società borghese, come una delle basi da attaccare per la sua prospettiva di trasformazione della società. Nella sua visione aristocratica del mondo, la proprietà stessa è un diritto primario e in particolare un diritto che appartiene agli “uomini eletti”. Il desiderio di possedere sarebbe, per l’autore, uno degli istinti più antichi dell’uomo e quindi per lui l’intenzione di abolire la proprietà o anche di generalizzarla a tutti i lavoratori, tipica delle idee socialiste, sarebbe una chimera, un attacco alla libera estrinsecazione della volontà umana. Così si giustifica il fatto che la volontà di possesso sarebbe costitutiva dell’uomo vitale:

“Ci saranno sempre molti proprietari in modo che il socialismo possa significare più di una crisi morbosa: e questi proprietari credono con tutta la loro anima che “si deve possedere qualcosa per essere qualcosa”. E questo è il più antico degli istinti, e anche il più salutare: aggiungo che è “necessario voler avere più di quello che hai, diventare più di quello che sei”. Questa è la dottrina che la vita stessa predica agli esseri viventi, la dottrina dell’evoluzione. Avere, voler avere di più, crescere, in una parola – è la vita stessa”. (NIETZSCHE, 2007, p. 271)

E, ovviamente, se una tale volontà di possesso è naturale, allora questa concezione si oppone alla critica della proprietà come origine dei mali dell’umanità, difesa dalle correnti socialiste e che trovava in Jean-Jacques Rousseau e nel suo ‘Discorso sull’Origine e le Basi della Disuguaglianza tra gli Uomini’ una decisa affermazione, con la sua ipotesi circa la genesi dell’idea di “proprietà”:

“Il primo che, delimitando un terreno, ha avuto la pretesa di dire “il mio” e ha trovato persone abbastanza semplici da credere in lui è stato il vero fondatore della società civile. Quanti crimini, guerre e omicidi, quante miserie e orrori avrebbero risparmiato la razza umana se, strappando i paletti e coprendo la fossa, avesse gridato ai suoi simili: “Non ascoltate questo impostore! Ci si perde se si dimentica che i frutti appartengono a tutti e la terra non appartiene a nessuno” (ROUSSEAU, 2008, p. 80)

Per Nietzsche, una tale visione è ristretta e mistificante, perché i sostenitori di una tale tesi non considerano che le conseguenze della proprietà respinte come dannose, sono in realtà la base della costruzione di tutta la cultura del mondo antico, e quindi spetta agli uomini accettare ed ereditare tutto questo. Ecco l’idea dell’eterno ritorno, nel senso dell’assunzione del proprio destino, dell’accettazione del mondo così com’è. La critica socialista della proprietà sarebbe dunque una negazione della vita.

Secondo Nietzsche, quando i socialisti sostengono che la divisione della proprietà nell’umanità attuale è la conseguenza di innumerevoli ingiustizie e violenze, e quindi rigettano ogni obbligo verso una cosa il cui fondamento sarebbe ingiusto, astraggono in realtà da tutto il resto proponendo quindi una visione deforme del mondo.

“Tutto il passato della cultura antica è stato fondato sulla violenza, la schiavitù, l’inganno e l’errore; ma noi, come eredi di tutte queste circostanze e concrezioni di tutto questo passato, non possiamo rompere con quel passato per decreto, né abbiamo il diritto di sopprimere nulla da esso. Lo spirito di ingiustizia è anche alloggiato nelle anime dei non proprietari, che non sono affatto migliori dei proprietari e non possono pretendere di avere dei privilegi morali, anche i loro antenati ad un certo punto avevano dei possedimenti”. (NIETZSCHE, 2007, 228-229)

La citazione di Rousseau ha una sua funzione. Nietzsche vede nel filosofo ginevrino uno dei principali responsabili delle idee della rivoluzione francese, che ha portato al primato dei valori di libertà e giustizia nella società anche tra gli aristocratici o uomini superiori, come l’autore li definisce. “Non è stata la natura di Voltaire, con tutta la sua moderazione volta a regolarizzare, rettificare e ricostruire, ma le mezze verità folli e passionali di Rousseau che hanno risvegliato questo spirito ottimista della Rivoluzione” (NIETZSCHE, 2007, p. 230); così Nietzsche attacca Rousseau. Secondo Noéli Correia de Melo Sobrinho, per il filosofo tedesco, l’evento rivoluzionario del 1789:

“fu il tentativo di annientare lo spirito della nobiltà con la sua sostituzione con lo spirito borghese, ma fu soprattutto la continuazione del cristianesimo, che trovò in Rousseau l’agente corruttore: odio per il potere e il dominio come vizio e ideale di felicità per tutti come virtù. Rousseau, a differenza di Napoleone, nel difendere l’uguaglianza degli uomini e la sovranità del popolo, sarebbe un erede indiscusso del cristianesimo e un difensore della visione del mondo dello schiavo.” (SOBRINHO, 2007, p. 34)

In questo senso, il socialismo per Nietzsche si presenta come la radicalizzazione dei valori affermati da Rousseau. L’egualitarismo, la giustizia e la libertà, le rivendicazioni dei socialisti davanti al mondo borghese, la base di una morale fortemente influenzata dal cristianesimo, spiegherebbero le ragioni della posizione direttamente contrapposta del filosofo tedesco a qualsiasi idea socialista. Nei suoi frammenti postumi, il filosofo dà una definizione sintetica della sua posizione sulle idee socialiste. Egli dice: “Io sono ostile (…) al socialismo, perché sogna in modo del tutto ingenuo la stupidità gregaria del “buono, vero e bello” e gli uguali diritti: anche l’anarchismo afferma lo stesso ideale, solo in modo più brutale”. (NIETZSCHE, 2007, I, p. 33). In un altro frammento, egli afferma anche che “il socialismo si basa sulla risoluzione di mettere gli uomini alla pari ed essere giusti verso tutti: questa è la sua morale suprema”. (NIETZSCHE, 2007, p. 233)

Il socialismo sarebbe, nella seconda metà dell’Ottocento, una delle principali espressioni del processo di decadenza dell’uomo. Nella visione nietzschiana, i greci da lui classificati come appartenenti ai pre-socratici, in particolare la figura di Eraclito, vengono presentati come coloro che avrebbero raggiunto l’apice del pensiero umano, affermando una considerazione artistica del mondo e dell’uomo, una visione estetica della vita.

Fu a partire dall’introduzione del concetto, della ragione, della verità, identificate con la figura di Socrate, che avrebbe avuto origine quella degenerazione di cui il socialismo sarebbe stato un prodotto; come sottolinea José Carlos Ruy nel suo articolo su Nietzsche “Filosofo della destra e Guru della sinistra”.

Con Socrate inizia la caduta: la sua filosofia concettuale, basata sull’esame razionale delle proposizioni, ha introdotto una rottura nella vecchia armonia. Tale rottura ha preso forma con Platone e la sua definizione del mondo oggettivo come copia di un mondo primordiale, di idee. La separazione tra essere e pensare, tra essenza e apparenza, che allora ebbe inizio – separazione fondamentale per lo sviluppo dell’attività scientifica e per la conoscenza oggettiva del mondo – diviene, per Nietzsche, la caratteristica principale di questa caduta. In seguito, è stata accentuata dal cristianesimo e dalla definizione di tutti gli uomini come uguali davanti a Dio (espressione del risentimento degli schiavi invidiosi del potere del signore) e approfondita, secoli dopo, con la rivoluzione francese del 1789, con la vittoria della mediocrità e dell’etica degli schiavi, che ha messo fine alla vecchia gerarchia ed ha volgarizzato l’idea dei diritti umani, dell’uguaglianza e della democrazia. Fu soprattutto tale rivoluzione che ha posto le basi della maggior parte dei mali contemporanei, e tra essi, del più grande: il socialismo. (RUY, 1991, p. 45)

In un altro testo, Nietzsche proseguendo con la sua visione punta al socialismo come sviluppo delle idee della modernità. Per lui, “il socialismo – l’estrema tirannia dei mediocri e degli sciocchi, cioè degli spiriti superficiali, degli invidiosi, di coloro che cadono sempre nel ridicolo – è in realtà una conseguenza delle idee moderne e del loro anarchismo latente; nell’atmosfera tiepida del benessere democratico, la facoltà di portare a termine e di dare completezza si rilassa. Prosegue, senza prevedere le conseguenze” (NIETZSCHE, 2007, p. 270).

Conformemente al proprio stile, Nietzsche in alcuni brani dei suoi testi lancia degli attacchi viscerali alle idee socialiste. “Il socialismo è anche, soprattutto, una cosa acida e senza speranza, e niente è più ridicolo della contraddizione tra le facce incattivite e disperate dei nostri socialisti di cui la pietosa frammentazione stilistica non dà effettiva testimonianza! – e la giovialità mimetica e anodina delle loro speranze e dei loro sogni” (NIETZSCHE, 2007, pag. 270-271). In un altro sottolinea ancora una volta l’inferiorità, anche sul piano culturale, dei difensori di tali idee: “Il socialismo è una conseguenza dell’incultura generale, di un’abitudine ad un pensiero astratto, di un’anima grossolana. A un certo livello di ricchezza, l’ostracismo. La cultura assunta come indennizzo e risarcimento deve essere l’incoraggiamento protettivo di tutti gli oppressi”. (NIETZSCHE, 2007, p. 225)

Rivoluzione: “patetico e sanguinoso ciarlatanismo”

Oltre alla contrapposizione ai valori predicati dai socialisti, che per lui rappresentano solo risonanze della decadenza dell’uomo, Nietzsche si oppone anche alla nozione di rivoluzione, consacrata dai francesi alla fine del secolo e fatta propria da comunisti e anarchici nel XIX secolo. Per Nietzsche la storia mostra che il processo rivoluzionario non produce un nuovo mondo, come sostengono i sostenitori ottimisti del movimento rivoluzionario, ma salva gli eccessi e ripropone i vecchi problemi di altri tempi, accentuando il processo di decadenza, e persistendo nella ripetizione di vecchi errori. Anche se rappresenta una dimostrazione di energia, la rivoluzione stessa non contribuirebbe allo sviluppo dell’uomo, nel senso (appunto) nietzschiano, del superamento dell’uomo verso il superuomo, del dominio della volontà di potenza sulla ragione, di un nuovo rapporto vitale con il mondo.

Ci sono visionari della politica e della società che spingono con tutto l’ardore della loro eloquenza verso il totale rovesciamento dell’ordine stabilito, nella convinzione che poi sorgerebbe spontaneamente da questo rovesciamento il più superbo tempio di una bella umanità. In questi sogni pericolosi, compare l’eco della superstizione di Rousseau, che credeva nella bontà della natura umana, una bontà meravigliosa, originale, ma che ora, per così dire, risulterebbe sepolta, e si imputa tutta la colpa di questa sepoltura alle istituzioni della cultura, alla società, allo Stato, all’istruzione. Purtroppo, com’è noto dall’esperienza storica, ogni sovversione di questo tipo riporta in vita le energie più selvagge, resuscitando quegli orrori ed eccessi a lungo sepolti dai tempi passati e, di conseguenza, una sovversione come questa potrebbe essere fonte di inebriamento per un’umanità esausta, ma non diventerebbe mai un architetto ordinatore, un artista perfezionatore della natura umana. (NIETZSCHE, 2007, p. 229-230)

Per il filosofo, un cambiamento come quello predicato dal presunto rivoluzionario, non sarebbe  che un evento accidentale, una rottura superficiale con i valori esistenti.  Nel caso in cui un tale cambiamento fosse possibile, e in ogni caso lo sarebbe solo per una parte degli uomini, quelli considerati superiori, questo cambiamento nei valori della società avverrebbe lentamente e gradualmente, senza impatti eccessivamente drastici.

Come dice Nietzsche: “Affinché un cambiamento avvenga il più profondamente possibile, è necessario somministrare il rimedio in dosi molto piccole, ma instancabilmente, per lunghi periodi! Potremmo improvvisamente creare qualcosa di grande? Evitiamo, dunque, di spezzare violentemente e frettolosamente lo stato morale a cui siamo abituati per una nuova concezione del valore delle cose – no, vogliamo continuare a vivere a lungo in questo vecchio stato – fino a quando, probabilmente molto più tardi, potremo renderci conto che una nuova valutazione dei valori è diventata in noi la forza preponderante, quando le piccole dosi a cui ci siamo abituati avranno prodotto in noi una nuova natura”. (NIETZSCHE, 2007, p. 247)

Nietzsche si oppone al cambiamento “rivoluzionario”, nel senso più profondo del termine, quello che allora rimandava ancora alla rivoluzione del 1789. Per lui, “l’ultimo tentativo di cambiare importanti concezioni di valore nel campo politico – la “Grande Rivoluzione” – non è stato altro che un patetico e sanguinoso ciarlatanismo, che, attraverso crisi improvvise, cercava di dare all’Europa credulona la speranza di una cura improvvisa” (NIETZSCHE, 2007, pag. 247-248). Il filosofo ritiene che tali fatti storici, nel modo in cui si sono verificati, abbiano operato per trasformare i “fanatici della politica” (i rivoluzionari) in individui impazienti e pericolosi per la società.

Nella sua critica del socialismo, Nietzsche si avvicina molto a quella retorica liberale, che aveva formalmente condannato. La critica grossolana delle categorie dello Stato socialista, del controllo della sfera economica e politica, del primato della collettività sull’individuo e infine una visione stereotipata e caricaturale dei cambiamenti proposti dai socialisti vengono assemblate dall’autore per andare anche oltre, e per spacciare il socialismo come reazionario, come supposta propensione al dispotismo, che vede similare.

“Il socialismo è il fantasioso fratello minore del dispotismo [illuminato] agonizzante, la cui eredità vorrebbe raccogliere; le sue aspirazioni sono quindi reazionarie nel senso più profondo del termine. Perché egli desidera un potere statale a un tale grado di pienezza, che solo il dispotismo antico possedeva, e in questo supera persino tutto il passato, perché lavora per il puro e semplice annientamento dell’individuo: che gli sembra un lusso ingiustificato della natura, un individuo che è chiamato a plasmare, trasformandolo in un organo utile alla comunità. A causa di questa affinità, egli è sempre suscettibile di riprodurre tutte le manifestazioni esagerate di potere, come quelle tipiche del vecchio socialista Platone alla corte del tiranno di Sicilia; desidera [e secondo le circostanze] il dispotismo di stato cesareo di questo secolo perché vuole, come è stato detto, essere l’erede generale del dispotismo”. (NIETZSCHE, 2007, p. 231)

Il perentorio rifiuto della Rivoluzione e del socialismo fa sì che Nietzsche veda la difesa delle idee socialiste come una difesa di un mondo decadente. Per lui:

“Il socialismo può insegnarci nel modo più brutale e sorprendente il pericolo di ogni accumulazione di potere statale e, in questo senso, ispirare sfiducia contro lo Stato stesso. Quando la sua voce rude si mescola con il grido di guerra: “Per quanto possibile più Stato”, questo grido diventerà immediatamente più sconvolgente che mai: quindi poco dopo suonerà con non meno forza il grido opposto: “Il meno possibile di Stato”. (NIETZSCHE, 2007, p. 232)

Il filosofo tedesco fa ancora appello a una dimostrazione per assurdo, auspicando che una rivoluzione come quella sostenuta dai socialisti potesse affermarsi al fine di mostrare l’efficacia del proprio punto di vista:

“Infatti, vorrei che fosse dimostrato attraverso alcune grandi esperienze che in una società socialista la vita nega sé stessa, taglia le proprie radici. La terra è abbastanza vasta e l’uomo ha ancora molte risorse per privarmi di volere questa lezione delle cose, questa dimostrazione per assurdo, anche se fosse stata conquistata e pagata al prezzo di un enorme spreco di vite umane.”. (NIETZSCHE, 2007, p. 271)

Infine, Nietzsche vede come utile il “socialismo”, nel momento in cui contribuirebbe, come la sua stessa filosofia, agli attacchi contro i valori dell’ideologia borghese identificati con la modernità.

Secondo lui il socialismo può utilmente svolgere il suo ruolo di talpa sovversiva in una società segnata dall’idiozia: ostacolando l’avvento della “pace sulla terra” e scuotendo la mandria democratica animalesca, preparando così il terreno per l’avvento del superuomo che farà fronte alla decadenza dell’umanità e quindi allo stesso socialismo.

Il socialismo cioè: “costringe l’europeo a liberarsi dell’astuzia e della prudenza, a non rinunciare a tutte le sue virtù virili e marziali e a conservare un residuo di spirito intellettuale, di chiarezza, freddezza e aridità intellettuale”. (NIETZSCHE, 2007, p271-272)

Possiamo concludere, se è lecito fare una simile analogia, che una possibile interpretazione della visione nietzschiana del socialismo è quella per cui Nietzsche identifica le dottrine del socialismo come una sorta di “platonismo proletario”. Proprio come la filosofia di Platone creava un nuovo mondo di idee a scapito del reale, e la religione rinuncia al reale per la ricerca di un mondo ultraterreno, la dottrina socialista, alla luce del pensiero di Nietzsche, sarebbe la negazione della vita del presente in nome di un futuro profetico di giustizia e libertà preannunciato dalla Rivoluzione. In questa prospettiva, il filosofo tedesco può inserirsi in tutta la corrente del pensiero reazionario, nel senso della salvaguardia di uno status quo nella “lotta contro la decadenza”. Proprio a causa di questo carattere, la sua filosofia divenne uno dei punti più alti dell’irrazionalismo, che avrebbe contribuito in gran parte a creare i fondamenti filosofici del fascismo.

Riferimenti

CARLOS RUY, José (1991), Filosofo della destra e guru della sinistra in Revista Princípios, 20, 45-53

COMTE-SPONVILLE, André. La Bestia, il Sofista e l’Esteta: “L’arte al servizio della Delusione”. in Perché non siamo nietzschiani. Traduzione di Roberto Leal Ferreira. Oxford: Oxford University Press, 1994.

NIETZSCHE, Friedrich. Ecce Homo. Di come diventiamo ciò che siamo. Traduzione di Marcelo Backes. São Paulo: L&PM Editors. 2003.

. Scritti sulla politica. Le ideologie e l’aristocrazia. Vol. I. Traduzione di Noéli Correia de Melo Sobrinho. New York: Edizioni Loyola. Editore PUC Rio. 2007.

ROUSSEAU, Jean-Jacques. Discorso sull’origine e i fondamenti della disuguaglianza tra gli uomini. Traduzione di Paulo Neves. New York: L&PM Editores, 2008.

https://www.novacultura.info/post/2022/08/12/platonismo-para-o-proletariado-o-anticomunismo-de-nietzsche/

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