[FILOSOFIA] POST-MODERNO COME RIVOLUZIONE-PASSIVA

Il post-moderno si definisce in primo luogo per la negazione del moderno.

Ora si può chiedere, senza entrare qui nel merito del modo con cui si concepisce questa “negazione”, come si definisca il “moderno”.

Qui non si tratta evidentemente di porre in generale il problema, ma di chiedersi nello specifico che cosa sia il “moderno” dal punto di vista di chi teorizza e sostiene lo stesso “post-moderno”.

Generalmente la definizione di “moderno” che conseguentemente viene proposta enfatizza l’aspetto relativo alla cosiddetta “fine delle ideologie”.

Dal punto di vista del marxismo l’ideologia è solo uno dei livelli di una sovrastruttura di una determinata struttura economica di carattere storico-sociale, quindi non si potrà mai evidentemente parlare di “fine delle ideologie”, ma solo eventualmente del presentarsi ed affermarsi di ideologie diverse da quelle precedenti o se vogliamo dell’apparire di una differente configurazione relativa al rapporto tra ideologie già date ideologica.

Infine, nella tendenza del post-moderno, la “fine delle ideologie” viene o identificata o articolata nel senso della “fine della meta-narrazioni”, in tal caso con un’accentuazione dell’aspetto più propriamente pratico-politico.

In ogni caso, nella trattazione che ne fa il “post-moderno”, le categorie del “moderno”, della “ideologia”, della “meta-narrazione” e di altre categorie tipiche delle produzioni filosofiche di tale tendenza, hanno uno spiccato carattere metaforico-mitico; in altri termini sono delle concettualizzazioni approssimate e condensate che ben si prestano, tra il resto, a venire assimilate e riproposte dal pensiero egemone.

Nulla di tutto questo può quindi venire assunto del marxismo, nulla può inoltre venire razionalmente “tradotto” ai fini di una sua adeguata trattazione e confutazione. La “traduzione”, anche ai semplici fini della polemica e della confutazione, può sussistere infatti solo tra differenti linguaggi scientifici, tra differenti teorie che abbiano o almeno si ripropongano di avere un fondamento razionale. È evidente per es. che il linguaggio religioso non può venire tradotto in “linguaggio razionale”, proprio a causa dell’irrazionalità del primo[1]. Se realmente i marxisti si riproponessero di “tradurre” il “post-moderno” in una teoria confutabile dovrebbero incamminarsi lungo un labirinto in cui verrebbero inevitabilmente risucchiati senza possibilità di un’effettiva uscita. E questo non tanto perché il “post-moderno” sia in realtà un intreccio assai poco districabile tra varie tendenze e vari autori che si richiamo a tale tendenza o che comunque vengono ad essa ricondotti, quanto invece perché il post-moderno in generale si costituisce con la logica del labirinto, ossia della seduzione, della manipolazione, della fascinazione.

Non c’è “traduzione” razionale possibile senza una comprensione razionale delle categorie che si vogliono “tradurre” ai fini della confutazione; ma non c’è possibilità di comprensione razionale dove le categorie sono appositamente costruite in modo de-concettualizzato, ossia, ancora una volta sul modello del “mito”. Se la concettualizzazione razionale in quanto tale è, per il post-moderno, espressione di una volontà e di una propensione metafisica[2] allora il post-moderno non potrà costituirsi a sua volta sulla base del modello di questa ipotetica Metafisica. Quindi il post-moderno di presenta sin dall’inizio, essenzialmente come critica anti-metafisica della Metafisica, oppure in altri termini come vaccinazione preventiva contro il “pensiero proprio della Metafisica” e quindi contro il “pensiero che pretenda di confutare argomentando e dimostrando sulla base di ragionamenti logico-razionali” nel quadro della relativa “elaborazione e definizione di concezioni e metodi conformi”.

Quello che caratterizza il post-moderno non è affatto, dunque, l’opposizione frontale al moderno o, meglio alla Metafisica, ma quanto viceversa una specifica forma “vampirizzante” di assunzione della Metafisica. Come strategia della dissoluzione della Metafisica troviamo la teoria e la pratica del suo inglobamento-depotenziamento.

Si tratta quindi proprio di quel meccanismo di fondo della rivoluzione-passiva. E se in questo caso il meccanismo e relativo, nello specifico, al piano ideologico-filosofico, ciò non toglie evidentemente che tale piano sia spesso indissolubilmente connessi a quello della pratica-politica.

Tale meccanismo veniva descritto da Gramsci come tentativo volto all’affermazione di una sintesi, teoricamente eclettica, ma pragmaticamente non del tutto inefficace, tra tesi reazionaria conservatrice, semplicemente contro-rivoluzionaria, ed antitesi rivoluzionaria. Tramite questa sintesi l’antitesi veniva quindi inglobata e destrutturata e la tesi conservatrice poteva quindi affermarsi sotto forme riformiste apparentemente più avanzate e progressive. Ovviamente tale “sintesi” rappresenta solo il tentativo dell’avversario di classe di presentarsi in forme nuove, più accattivanti e riformiste, se non “socialiste” e persino “rivoluzionarie” proprio quando quest’ultimo lavora ad assestare colpi decisivi alla tendenza effettivamente progressiva e storicamente e politicamente rivoluzionaria. Solo un tentativo dunque, a cui risolta necessario opporsi e rispetto a cui è necessario vigilare costantemente.

Il post-moderno in nome dell’avvenuto superamento di tutte le “ideologie” e le “meta-narrazioni” ha in realtà di mira soprattutto, nel linguaggio di questa tendenza, una “meta-narrazione” tra le altre, quella rappresentata dalla “ideologia comunista”. Sarebbe infatti proprio l’ideologia del marxismo, del leninismo e del maoismo a rappresentare la versione più estrema della Metafisica.

Il post-moderno, variamente declinato, è una filosofia propria dell’imperialismo, probabilmente oggi la filosofia più diffusa ed influente. Essa è di volta in volta, nei suoi temi di fondo, la filosofia del post-nazismo e del post-fascismo, del liberalismo reazionario, del revisionismo moderno, del sindacalismo rivoluzionario semi-anarchico e del movimentismo.

A seconda di come il post-moderno venga declinato si evidenzia ovviamente una diversa concezione del moderno ed un’idea diversa della sua conclusione. Questo tipo di questioni interessa poco il marxismo. La tesi di fondo del marxismo è che con l’affermarsi dell’imperialismo la borghesia va  a perdere ogni carattere progressivo, foss’anche solo quello della democrazia-borghese. La borghesia diviene oligarchica e guerrafondaia sul piano statale, reazionaria sul piano culturale e filosofico, corporativa su quello economico-sociale. Quindi se proprio si vuole si può far risalire la fine del “moderno” da un lato alla dissoluzione della filosofia hegeliana, dell’economia politica classica e del comunismo utopico, dall’altro alla trasformazione reazionaria del liberalismo dopo il 1848 e soprattutto dopo il 1871 (Comune di Parigi) sino appunto all’affermazione definitiva dell’imperialismo nei primi anni del Novecento.

In “moderno” finisce con l’avvenuta divaricazione tra marxismo, come ideologia guida del proletariato rivoluzionario e borghesia ormai irreversibilmente reazionaria.

Sul piano filosofico la borghesia oltre a combattere il materialismo scende in campo contro la dialettica oggettiva che in gran parte, come sottolinea Lenin, era stata elaborata dall’idealismo oggettivo. Quindi si incammina sulla strada dell’idealismo soggettivo nella sua versione più reazionaria. Due sono le tendenze generali che ne emergono, quella del ritorno a Kant e del neopositivismo sul terreno logico, gnoseologico ed epistemologico e quella della linea Nietzsche-Heidegger sul piano etico-esistenziale e filosofico-culturale. In realtà entrambe le tendenze condividono temi, problemi e concezioni di fondo, entrambe, pur in forme diverse, innalzano la bandiera della lotta contro la “Metafisica”.

È ovviamente la linea Nietzsche-Heidegger quella che meglio si presta a diventare pienamente  rappresentativa del nazional-socialismo[3] e d’altronde lo stesso Heidegger aspirava a proporsi come guida spirituale del nazismo pur scegliendo di privilegiare, in modo corrispondente alla sua pseudo-filosofia, la frazione nazista rosso-bruna e finendo così ad un certo punto relativamente marginalizzato.

Successivamente tale linea è stata riproposta dai post-nazisti (sempre dallo stesso Heidegger), dai liberali-ultra-reazionari (si pensi a Hannah Arendt allieva-amante di Heidegger) e da svariati revisionisti e intellettuali “marxisti-critici”. Il post-modernismo come lo si intende comunemente prende piede su questo terreno ampiamente dissodato e semplicemente ne continua “l’opera” costruendo filosofie intellettualistiche nuove e “rivoluzionarie” nella forma e vecchie, putride ed ultra-reazionarie, nella sostanza.

Il post-modernismo come concezione e metodo della lotta non-frontale contro la Metafisica attraverso la sua vampirizzazione e relativa assimilazione destrutturante può quindi essere considerata una “filosofia” pienamente in linea non solo con il togliattismo, ma anche con l’operaismo ed infine, con l’opportunismo in generale. In tal caso il principio declinato in forme diverse è sempre lo stesso, “alzare la bandiera rossa del marxismo, del leninismo e del maoismo per abbattere la bandiera rossa del proletariato internazionale”.


[1] Va comunque considerato il fatto che il marxismo non si ferma a questa pur giusta considerazione di matrice illuminista, ma che prosegue oltre e spiega il feticismo del linguaggio religioso riconducendolo a rapporti storico-sociali determinati per quanto questo richieda particolari conoscenze teoriche, economiche e storiche.

[2] Il concetto di Metafisica nel post-moderno non va confuso con quello a volte di uso comune anche nell’ambito del marxismo per cui “Metafisica” sarebbe equivalente di “Misticismo” o di “logica anti-dialettica propria dell’intelletto” (nell’accezione hegeliana).

[3] In Italia abbiamo  un ramo formalmente  parallelo all’idealismo reazionario della linea quello Nietzsche-Heidegger, ma in effetti del tutto assimilabile a quest’ultima, il ramo, appunto, del neoidealismo  di Croce e Gentile, il primo portatore di un idealismo pseudo-oggettivista e pseudo-dialettico, il secondo costruttore di una filosofia intellettualistica ancora più apertamente reazionaria e soggettivista.

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