[FILOSOFIA] CONTRIBUTO SUL RAPPORTO TRA MATERIALISMO DIALETTICO E ARTE

Indice

1 Classi sociali e riflesso ideologico sul piano culturale

2 La cultura decadente dell’imperialismo e il problema di una “riforma intellettuale e morale”

3 Il realismo contro la concezione dell’arte dell’idealismo soggettivo

4 Arte come impulso espressivo soggettivo o arte come rispecchiamento della realtà?

CONTRIBUTO SUL RAPPORTO TRA MATERIALISMO DIALETTICO E ARTE

  1. Classi sociali e riflesso ideologico sul piano culturale

A partire dagli anni Trenta, nell’attuale fase dell’imperialismo si è andata sviluppando una forma dello Stato che nel periodo del capitalismo espansivo, come ben evidenziato da A. Gramsci, era ancora embrionale. Oltre al rafforzamento degli apparati coercitivi, si è provveduto allo sviluppo della società civile, ossia di quella dimensione dello Stato che ha il compito specifico dell’esercizio dell’egemonia della borghesia sul proletariato e sulle masse popolari. Gli intellettuali borghesi, in quanto mediatori dell’ideologia, svolgono un ruolo centrale in questa seconda dimensione dello Stato.

È un principio teorico universale che la cultura sia il riflesso ideologico del sistema politico ed economico che vige in una determinata società. Nel sistema imperialistico è egemone la cultura della borghesia liberal-reazionaria che, con l’accentuarsi della crisi generale del capitalismo, tende sempre più al fascismo.

Il proletariato e le masse popolari sotto la direzione di effettivi partiti comunisti basati sul marxismo-leninismo-maoismo hanno il compito di trasformare questo sistema economico e politico secondo la propria concezione del mondo. La politica culturale è un’articolazione della linea politica più generale, ne è un’espressione e si pone al servizio delle sue finalità. Questo implica un’aspra lotta tra l’ideologia e la cultura democratico-popolare e socialista da un lato e l’ideologia e la cultura liberal-reazionaria e fascista dall’altro. Questa lotta è uno dei fronti necessari della lotta di classe.

Mao, sintetizzando l’esperienza storica del MCI, afferma: “La cultura rivoluzionaria è per le masse popolari un potente strumento rivoluzionario. La cultura rivoluzionaria prima della rivoluzione la prepara ideologicamente; durante la rivoluzione essa costituisce un importante e indispensabile settore del fronte generale della rivoluzione. I lavoratori culturali della rivoluzione sono alla guida dei diversi settori di questo fronte culturale.” Citando il principio di Lenin “Senza teoria rivoluzionaria, non c’è movimento rivoluzionario”, Mao aggiunge: “Si arguisce da ciò l’importanza del movimento culturale rivoluzionario nella pratica del movimento rivoluzionario.” [La cultura di nuova democrazia, Mao Tse Tung,Gennaio 1940]

Nella fase decadente dell’imperialismo, l’idealismo soggettivo è il fondamento dell’ideologia, della filosofia e della cultura reazionaria. All’interno del campo filosofico dell’idealismo soggettivo, che ha un peso decisivo su quello dell’orientamento culturale, le principali tendenze, con i rispettivi sviluppi, sono quelle della linea Nietzsche-Heidegger e del neopositivismo. La linea Nietzsche-Heidegger trova espressione nel postmodernismo di destra e di “sinistra”. L’idealismo soggettivo in campo filosofico, in particolare quello che si riflette nel postmoderno, è la concezione che meglio riflette la decadenza e la vocazione ultrareazionaria e conservatrice della borghesia nella fase terminale dell’imperialismo. Questa concezione assume forme disparate, che vanno dal fascismo alla cosiddetta ‘sinistra’. In quest’ultimo caso si avvale dunque dell’apporto degli intellettuali della sinistra “liberale”, comprese le sue ali più radicali, che si presenta come progressista, pluralista e ‘contro tutti i totalitarismi’, mirando in realtà a portare a fondo l’attacco al proletariato e all’ideologia comunista e aprendo così ampi varchi all’affermazione del fascismo. Funzionari della sinistra sindacale e dei sindacati alternativi, associazionismo pacifista, ambientalista e no profit, femminismo ed ex sessantottini riciclati hanno svolto e continuano a svolgere una funzione politico-sociale determinante nei processi ormai avanzati di corporativizzazione delle masse popolari. Al problema dell’elaborazione e della diffusione della “coscienza di classe” e quindi al problema della formazione di un effettivo partito comunista e di un reale movimento rivoluzionario di massa per la costruzione di uno stato di democrazia popolare, si sostituisce una pseudo-coscienza e una pseudo-politica di opposizione, che conduce alla conciliazione delle contraddizioni e alla blindatura contro la possibilità che emergano e si sviluppino posizioni e conflitti di classe.

Tutto questo evidenzia un nuovo problema rispetto ai primi decenni del secolo scorso e richiede oggi approcci e soluzioni nuove, in linea con il maoismo, con la sua specificazione e in Italia con l’assimilazione critica dei contributi di Antonio Gramsci.

  • La cultura decadente dell’imperialismo e il problema di una “riforma intellettuale e morale”

La lotta all’ordine del giorno nel nostro paese per la costruzione rivoluzionaria di uno stato di democrazia popolare sulla via del socialismo richiede quindi anche un movimento di lotta sul versante della cultura antifascista e socialista del proletariato, delle masse popolari e dei piccolo-intellettuali e, in stretto rapporto con questo, anche uno specifico movimento di lotta per una concezione dell’arte democratico-popolare contro la concezione decadente e reazionaria  dell’arte della borghesia imperialista.

La lotta per la costruzione di uno stato di democrazia popolare sulla via del socialismo diretta dal proletariato richiede dunque quella che Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del carcere chiamava “riforma intellettuale e morale”. L’attuazione di questa “riforma” deve vedere due momenti fondamentali distinti e che con l’avanzare del processo di definizione e di lotta rivoluzionaria correranno parallelamente e andranno contemporaneamente a intrecciarsi.

Il primo momento, relativo al riflesso della lotta di classe sul piano teorico, è quello dell’attività ideologica per la formazione di un nuovo tipo di quadri rivolta alle avanguardie che partecipano alla costruzione e all’attività del Partito Comunista Marxista-Leninista-Maoista. Fa parte di quest’attività la lotta per l’affermazione della dialettica materialista come teoria scientifica del proletariato e delle masse popolari contro le altre tendenze filosofiche, in particolare l’idealismo soggettivo, impegnato in un attacco viscerale contro le concezioni che si rifanno al materialismo e alla dialettica oggettiva e, in particolare, contro il materialismo storico-dialettico. Il materialismo storico-dialettico è una concezione scientifica che afferma la necessità di un rispecchiamento non passivo, contemplativo e fotografico della realtà, ma una sua riproduzione orientata a una prassi rivoluzionaria.

Il secondo momento della “riforma morale e intellettuale”, che rappresenta un importante contributo alla lotta di classe sul piano politico, è legato alla politica culturale rivolta alle masse. Un ramo importante della politica culturale è la produzione artistica. L’arte è una forma di espressione che, dal punto di vista del materialismo storico, si connette al filone del realismo e deve di conseguenza rimandare a una forma di rappresentazione oggettiva della realtà. In questo senso, per il Marxismo-Leninismo-Maoismo il processo artistico che porta alla produzione di un’opera deve avere il rigore di una scienza sociale. Nella fase decadente dell’imperialismo, l’arte della borghesia, al contrario, si esprime soltanto attraverso una sistematica deformazione mistica della realtà effettiva, un suo stravolgimento sofistico in varie forme.

  • Il realismo contro la concezione dell’arte dell’idealismo soggettivo

L’arte, soprattutto nell’espressione di alcune sue forme come il cinema, il teatro e la letteratura, parte dai casi individuali. Quindi pone in primo piano dei soggetti individuali, determinate figure, determinati personaggi. Il suo proposito è quello di richiamare, in un modo o nell’altro, una realtà più vasta, più universale. Nel momento in cui lavora con i ruoli dei singoli, delle loro vicende e dei loro destini personali, l’atto artistico effettua, in modo consapevole o meno, una scelta di campo. Nell’imperialismo, tale scelta in ultima analisi si compie tra due concezioni fondamentalmente diverse e opposte dell’attività artistica: quella che rimanda al materialistico-dialettica e, viceversa, all’idealismo-soggettivo.

Vediamo che, generalmente, le varie concezioni dell’arte borghese tendono a deformare o eliminare le connotazioni di classe e di carattere storico-sociale dei personaggi. Di conseguenza, essi vengono riprodotti in modo artificiale con emozioni, personalità, caratteri con cui si tenta di far immedesimare settori più o meno ampi delle masse popolari. Ciò che rappresenta lo svolgimento della trama è in genere, allo scopo di coinvolgere emotivamente il pubblico, un condensato relativo a vicende per lo più legate al perseguimento di alcuni istinti e bisogni elementari dell’uomo, presentate senza reali nessi con una realtà sociale e di classe. Le rappresentazioni astratte e feticistiche sul piano dei sentimenti e delle emozioni, dell’amore, della sessualità e delle relazioni amicali e parentali, su quello relativo alla concorrenza di tutti contro tutti per il miglioramento della propria personale situazione economica e sociale e, infine, su quello delle vicende collocate in situazioni limite che paiono mettere in gioco e scatenare l’ “istinto di sopravvivenza”, sono le più diffuse.  Spesso sono inserite dentro una scenografia ricca di più o meno suggestive ambientazioni che non sono una semplice cornice, ma hanno il compito di supportarne e sostanziarne i contenuti ideologici proposti. Questo avviene anche tramite l’associazione ai prodotti cinematografici o teatrali di motivi musicali e di opportune variazioni sonore.

Secondo il materialismo storico e dialettico, non ci può essere una produzione artistica orientata al soddisfacimento dei bisogni intellettuali delle masse popolari senza fare della stessa attività artistica una branca della scienza sociale. Tutto questo dunque si contrappone alla concezione secondo cui fare arte significa dare forma a quelle che sono le esperienze, le emozioni, i vissuti, ecc. di un determinato individuo rappresentato da questo o quel personaggio. Il materialismo storico dialettico trova la sua espressione più compiuta nel realismo. Quest’ultimo pone al centro la questione di quello che oggettivamente, sul piano sociale relativo agli antagonismi di classe, risulta effettivamente “tipico”. Questo significa che non è possibile definire in maniera soggettiva i criteri che stabiliscono cosa è fondamentale per la produzione artistica. Non si può, per es., attribuire la stessa importanza a cose che in realtà hanno importanza in maniera diversa, non si può confondere il “tipico”, con il casuale e l’accidentale.

Dall’assenza di un’adeguata discriminazione non possono che uscire rappresentazioni piatte. Non è realismo l’intenzione di riprodurre la realtà come se si trattasse di una fotografia. Il realismo rappresenta la realtà in modo tale che la sua riproduzione possa venire definita da un ordine gerarchico capace di evidenziare i caratteri e i rapporti essenziali nei personaggi e negli eventi, differenziandoli da quello che non è tale. Per quanto anche ciò che non è essenziale possa avere una sua presenza, in quanto il tipico, nella rappresentazione artistica, si mescola generalmente anche con l’accidentale.

Durante la grande rivoluzione culturale cinese, il PCC scriveva:

“Noi dobbiamo sforzarci di creare immagini eroiche di operai, di contadini e di soldati. Dobbiamo creare dei tipi e non attenerci a personaggi e ad avvenimenti reali. … Mao: “La vita, quando si riflette nelle opere letterarie e artistiche, può e deve essere più sublime, più intensa, più concentrata, più tipica, più vicina all’ideale e, quindi, deve possedere un carattere di maggiore universalità rispetto alla realtà quotidiana”.  … i nostri scrittori devono concentrare e sintetizzare i materiali offerti dalla vita e accumulati durante un lungo periodo per creare differenti generi di personaggi tipici”. [Innalziamo la grande bandiera rossa del pensiero di Mao Tse-Tung; partecipiamo attivamente alla grande rivoluzione culturale socialista, editoriale del Quotidiano dell’Esercito popolare di liberazione – 18 aprile 1966].

Una rappresentazione artistica realista costruisce quindi i suoi personaggi mettendo in primo piano non tanto le loro individualità, ma i loro rapporti di classe, pulendo così buona parte della scena da tutto ciò che può portare il pubblico a un coinvolgimento emotivo che intorbidi la comprensione razionale delle vicende rappresentate e oscuri l’effettivo operato sociale dei personaggi. Una rappresentazione realista non ha il problema di mettere in primo piano le personalità dei personaggi perché ha interesse, non a far sì che il suo pubblico (il proletariato e le masse popolari) s’identifichi con questo o quel personaggio, bensì a fargli cogliere il contenuto di ciò che si sta rappresentando. Cosa che rimanda necessariamente alla contraddizione e allo scontro tra le diverse classi sociali, ai diversi interessi in gioco, alle diverse visioni delle cose, alle conseguenze del prevalere o meno di uno dei due poli nello scontro e, quindi, alla necessità che lo stesso pubblico si schieri in termini razionali in accordo con i criteri della filosofia del materialismo-dialettico.

  • Arte come impulso espressivo soggettivo o arte come rispecchiamento della realtà?

Per una migliore comprensione della questione dell’arte per come essa si presenta nei paesi imperialisti, assume una certa rilevanza B. Brecht, drammaturgo comunista tedesco. D’interpretazioni su B. Brecht se ne contano diverse, ma sul suo lavoro relativo all’elaborazione teorica dei problemi posti dalla rappresentazione teatrale, non circola molto. Possiamo nel complesso sostenere che, prima della sua fase più compiuta e matura, che lo ha spinto verso la Terza Internazionale, l’URSS, la DDR e la Cina di Mao, Brecht risentisse di alcuni limiti di fondo. Si tratta di limiti legati all’influenza di eventi e tendenze proprie del clima politico-culturale della Germania di allora, ricco di potenzialità ma anche complesso e contradditorio. Brecht risulta infatti influenzato per tutta una prima fase da tendenze del “comunismo di sinistra”, in particolare quelle interpretate da Karl Korsch. Vero è che anche tra i comunisti tedeschi, più volte criticati da Stalin e dalla direzione della Terza Internazionale Comunista, si erano registrate varie oscillazioni tra il deviazionismo di destra e quello di “sinistra”.

Considerati questi limiti di Brecht, che si rispecchiano in una serie di sue opere teatrali, in ogni caso va detto che ha saputo emanciparsi progressivamente e arrivare a dare degli importanti contributi al problema dell’arte del proletariato. È un compito dei marxisti-leninisti-maoisti quello di individuarli, rivendicarli e procedere a una loro assimilazione critica.

Alcuni dei contributi di Becht sono legati alla questione dell’immedesimazione e dell’effetto straniamento.

Anche l’immedesimazione del pubblico nei personaggi può esprimersi in due modi diversi e opposti.

Quella che rimanda all’identificazione con un personaggio o con una situazione presentata come priva di caratteri sociali di classe o come caratterizzata da una deformazione reazionaria di tali caratteri, è finalizzata a conseguire, tramite procedimenti tipicamente sofistici, un’identificazione che abbia l’esito di conciliare in senso reazionario le contraddizioni di classe. Un esempio molto diffuso è quello di procedere tramite l’umanizzazione dei personaggi reazionari.

 Abbiamo, all’opposto, un’identificazione nei personaggi rappresentati, che ha come esito un atto di scelta rispetto alle contraddizioni di classe evidenziate. Un esito che s’indirizza verso uno schieramento consapevole, voluto, partitico. Quindi possiamo anche parlare di scelta di campo del singolo, che si traduce nell’identificazione con una ben determinata classe sociale.

Molti intellettuali e artisti che si autodefiniscono di sinistra o di estrema sinistra fanno largo uso dei metodi e delle tecniche borghesi dell’immedesimazione. A detta loro, nell’intento di far emergere i problemi presenti nella società per sensibilizzare, costringere a prenderne coscienza e quindi spingere a proporre delle soluzioni. Questo come se scoperchiare le brutture e le efferatezze presenti nella società imperialista, come se indugiare nel loro dettaglio, di per sé portasse a un avanzamento della lotta di classe. Ma non è che coinvolgendo emotivamente le persone, “scioccandole” con l’elenco delle brutture, questo porti a un’evoluzione nella loro coscienza di classe. Questo non ha niente a che vedere con la profondità artistica ed è ben lungi dall’essere realismo. Si tratta semplicemente dello scatto di un’istantanea, di un particolare fra tanti, che serve a distogliere dalla necessità di arrivare alle radici di una realtà ben più profonda e complessa. Si assume quindi in maniera passiva e acritica l’ideologia borghese senza porsi il problema di un faticoso lavoro teorico, che comporti la necessità di dare un’interpretazione diversa della realtà. Lavoro che non può che essere la base per un’impostazione scientifica della produzione artistica, la quale, ovviamente, oltre al contenuto richiede una forma adeguata.

Brecht ha introdotto l’effetto straniamento nelle sue rappresentazioni teatrali, funzionalizzandolo ad un preciso schieramento di campo. Quindi in modo da favorire un’identificazione consapevole con gli interessi e le prospettive di una determinata classe sociale.

Cosa ben diversa da quella forma di cinica pretesa di stare al di sopra delle parti, comunque volta a indurre sotterraneamente una scelta di campo reazionaria, che facendo riferimento all’impostazione postmoderna promuova l’ironia e l’estraniazione come critica verso ogni coinvolgimento, in quanto ogni aperta scelta di campo sarebbe una pretesa metafisica e totalitaria. Impostazione che rimanda a una posizione soggettivista e aristocratica, quindi di fatto ad una precisa scelta perché questo tipo di critica s’indirizza, in ultima analisi, contro la classe che vuole trasformare la realtà in senso rivoluzionario e contro la sua ideologia.

Nel 1937, nel suo scritto “Autocritica”, Brecht parlava della concezione dell’arte del nazismo come caratterizzata da un impulso immediato all’espressione. Considerava che in questo modo l’artista viene concepito come un sonnambulo, che si trova quindi ad agire inconsciamente e i motivi per cui compirebbe le sue azioni sarebbero ignoti a lui stesso. Secondo questa visione, l’artista sarebbe mosso dall’ispirazione e sarebbe tenuto a seguirla fedelmente senza pretendere di spiegarla a sé stesso o di renderla concettualmente comprensibile al proprio pubblico. L’artista non deve richiedere che lo si capisca, ma che ci si immedesimi con lui. Troviamo qui una concezione che si sintonizza pienamente con la visione dell’ “essere” di Heidegger e con la scissione idealistico-soggettiva che ne consegue tra “ontologia” e mondo sociale e materiale.

Possiamo dire che questa visione dell’artista è propria della società imperialista. Brecht diceva che questo tipo d’ideologia depotenzia, sul piano della ragione, il concetto di cosa debba rappresentare l’arte, sostituendolo con un indeterminato atteggiamento artistico, ovvero un certo modo di essere, di sentire, di vivere e faceva l’esempio di Hitler che veniva definito e si autodefiniva artista di Stato.

“Vanno riesaminate attentamente le idee che gli artisti hanno del mondo, delle azioni umane e via dicendo. Si vedrà che non sono fatte di sole sensazioni e stati d’animo, ma hanno anche degli intendimenti molto pratici e solidi. La nuova critica dovrà attenersi più ai punti di vista che alla sensibilità degli artisti. E, soprattutto, non dovrà più “partecipare” sentimentalmente, bensì osservare”. [Ciò che si esige da una nuova critica,La critica (1924-31), Bertolt Brecht].

Quanto affermato da Brecht ha una certa rilevanza perché individua la sofistica che sta alla base di questa concezione dell’arte oggi egemone. Le schiere di vip che affollano lo schermo e da ultimi gli influencer nei social network, tutti dediti alla costruzione del proprio personaggio ‘artistico’, sono un esempio del livello di decadenza sociale di cui è ormai investita l’arte. La cultura egemone nell’imperialismo ci abitua a considerare l’arte come un tipo di approccio alla realtà sostanzialmente diverso e separato da quello della scienza e della logica, che impongono un metodo rigoroso. L’arte come estrinsecazione della propria natura soggettiva legittimerebbe quindi a parlare di arte come attività legata a una specifica dimensione espressiva propria dell’artista.

Un compito dei comunisti è quindi quello di recuperare il problema dell’arte come forma attiva di rispecchiamento oggettivo della realtà. Questo implica, conseguentemente, una concezione oggettiva del problema dell’estetica. Ciò che è bello è ciò che esteticamente è in grado di corrispondere al contenuto ideologico rappresentato dalla battaglia del proletariato rivoluzionario per una prospettiva di radicale trasformazione della realtà. Questa corrispondenza richiede quindi anche una forma capace di rendere in modo profondo, efficace e vivo quelli che sono i sentimenti più profondi, gli interessi di prospettiva e le aspirazioni del proletariato come rappresentante d’avanguardia degli altri settori di massa.

NUOVA EGEMONIA

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